Salario minimo: le meraviglie della realpolitik
Comunicato stampa
Rispondiamo con preoccupazione alla denuncia di alcuni sindacati riguardo la situazione di tre imprese del Mendrisiotto e del loro maldestro e pericoloso tentativo di aggirare e la volontà popolare espressa nella votazione sul salario minimo e i diritti di lavoratrici e lavoratori ticinesi, già troppo e da troppo tempo sotto attacco.
Se il motivo primo di questa preoccupazione è la presenza di due di tali ditte sul territorio della nostra Città di Mendrisio, un’analisi più approfondita ci porta a lanciare un appello valido per tutto il Cantone: l’episodio infatti dimostra una volta ancora come la strategia politica consistente nell’effettuare concessioni, anche considerevoli, al settore privato (che sia sotto forma di sgravi fiscali, di agevolazioni sui Piani Regolatori, di incentivi diretti, …) aspettandosene poi in cambio un ricaduta positiva per il pubblico (posti di lavoro, entrate fiscali e tutta la trickle down economy cantante) non funziona senza precise regole, condizioni e controlli: non funziona, insomma, se lo stato rinuncia del tutto al suo ruolo in nome della maggiore libertà di mercato possibile.
L’accordo sul salario minimo – che qui si è di fatto raggirato grazie alla possibilità di deroga contenuta nella legge alla lettera i) – era già frutto di una trattativa al ribasso, di un compromesso politico tra le parti che aveva – meraviglie della realpolitik – fatto scendere la soglia legale fino ai 19-20 franchi odierni (il canton Ginevra, citato a modello dal comitato d’iniziativa, lo fissava per esempio a 23); ottenuto il dito, però, subito assistiamo alla presa del braccio, con politica comunale costretta al ruolo di spettatrice dell’ennesimo abuso e tanti auguri a fautori e fautrici del laissez faire e della mano invisibile.
Vedere poi che dietro l’operazione si celano anche persone con alte responsabilità politiche inquieta ancora di più, visto che fare la legge e trovare l’inganno stanno sì vicini nel proverbio ma, perlomeno lì, il raggiro non lo trova chi la legge la fa.
Che l’accaduto sia insomma di monito a chi, in tutto il Ticino, ancora porta avanti l’idea che lo Stato debba delegare il più possibile alla buona fede dei singoli (alla responsabilità individuale, per sfondare una porta aperta di questi tempi), che la colpa dei salari bassi non sia da cercarsi sul nostro territorio e che regole e controlli non servono perché nessuno – almeno nessuno dei nostri – può essere malintenzionato.
Scandalizzarsi due giorni e poi riscaldare le solite politiche masoniane i rimanenti 363, non aiuterà lavoratori e lavoratrici di queste aziende, non aiuterà la sopravvivenza a lungo termine delle imprese, non aiuterà il tessuto sociale ed economico del Cantone, non aiuterà in definitiva nessuno. Riempirsi poi la bocca di concetti come la responsabilità sociale delle aziende lasciando di fatto libero il mercato di fare ciò che vuole, è perlomeno desolante.
Nel Mendrisiotto le industrie si sono sviluppate sul differenziale di cambio, impiegando frontalieri con bassi salari e precludendo il lavoro ai residenti; questa mancanza di lavoro scarica poi sullo Stato i costi sociali. Stato che deve spesso sostenere con sussidi i lavoratori e le lavoratrici che non possono vivere solo con il loro salario, perché non ce la fanno a pagare gli affitti e la cassa malati e faticano a fare fronte alle spese impreviste. Sarebbe ora di promuovere una vera politica del lavoro, una solida politica occupazionale, pensando a sviluppare i settori legati alla cura e all’ambiente.
Mendrisio, 13.09.2021