Congedo paternità: se due settimane vi sembran tante
Nonostante i cambiamenti economici e sociali, l’idea tradizionale di famiglia e di ripartizione dei ruoli fra i sessi – che assegna l’attività professionale agli uomini e il lavoro familiare alle donne – è ancora profondamente radicata e costringe madri e padri a confrontarsi con il dilemma della conciliabilità tra famiglia e professione. Per favorire la conciliazione dei tempi della vita, sono prevalentemente le donne a ridurre il tempo di lavoro. E sono ancora soprattutto le donne ad occuparsi dei lavori domestici e dell’educazione dei figli.
Conciliare sfera privata e sfera professionale non è solo importante per costruire un’effettiva parità tra donna e uomo, ma rappresenta una sfida che interessa tutta la famiglia. Oggi però le possibilità di conciliare famiglia e lavoro non sono ancora soddisfacenti, né per le madri né per i padri. Conciliare vita privata e lavoro professionale significa mettere sul piatto della bilancia i pesi diversi che questi fattori assumono nella vita quotidiana di una persona.
Prima o poi nella vita di una donna arriva il tempo della maternità e in quella dell’uomo l’esperienza della paternità. Per le donne si tratta di scegliere: avere un figlio e rinunciare al lavoro, avere un figlio e continuare a lavorare sperando di non essere fermata da scogli insormontabili o non avere figli. La maternità rappresenta infatti una tappa cruciale: ridisegna il profilo della propria esistenza, scombina la dimensione del tempo, traccia nuove mappe all’interno della coppia, della famiglia. Ma spesso deve misurarsi anche con un’altra espressione di compimento personale: il lavoro, la carriera.
Le scelte e i nodi arrivano al pettine anche per gli uomini. Le giovani generazioni, gli uomini che hanno condiviso con le proprie compagne un percorso di emancipazione, o coloro che hanno maturato un’idea diversa di abitare il mondo e di vivere la relazione di coppia, desiderano sempre più riappropriarsi del ruolo di padre o far crescere un progetto di vita in cui il lavoro non sia l’unica, ingombrante, tessera del mosaico. Ma ci sono anche uomini che desiderano condividere la responsabilità finanziaria della famiglia.
Se il modello “male breadwinner” – che si fonda sull’idea di una rigida divisione del lavoro tra uomo (a cui è affidato il ruolo di procacciatore di risorse, “breadwinner”) e donna (a cui spetta il lavoro di cura non retribuito) – è ancora piuttosto diffuso, oggi sempre più uomini vogliono uscire da questa sorta di gabbia.
Da un lato non vogliono più portare da soli il peso della responsabilità finanziaria (anche perché oggi non esistono più posti sicuri per tutta la vita) e d’altro lato desiderano assumersi la paternità anche in termini di tempo da dedicare alla cura e alla famiglia. I cambiamenti che investono l’identità maschile rappresentano un importante punto di partenza nel ridurre le asimmetrie di genere per raggiungere un maggior equilibrio nella difficile sfida di essere padri (e madri) nella società di oggi. I nuovi padri devono rispondere a cambiamenti materiali, simbolici, culturali che toccano tanto la relazione con le figure paterne delle precedenti generazioni, quanto il rapporto con le proprie compagne, senza dimenticare l’importantissimo legame e confronto con i propri figli.
La rappresentazione sociale dell’uomo non va solo rivista in un discorso di genere e di pari opportunità, ma anche inserita nella sfera dell’educazione e della crescita del figlio. La figura e il ruolo paterno – che nelle famiglie di oggi è in gran parte ancora tutto da definire, non potendo più essere configurato su modelli tradizionali in base ai ruoli familiari, professionali e di genere – vengono oggi riscoperti e rivendicati da un numero sempre maggiore di uomini.
Alcune amministrazioni comunali – come il comune di Mendrisio, tra i primi in Ticino – hanno introdotto un congedo paternità di 20 giorni. A Mendrisio si è giunti a questo risultato grazie ad una mozione interpartitica promossa da Insieme a Sinistra. Pratiche politiche attente alla dimensione della famiglia rappresentano indubbiamente un investimento nel futuro. Del resto l’importanza della conciliazione tra vita privata e vita professionale è emersa in modo chiaro nello Bilancio di genere della Città di Mendrisio, che sarà presentato pubblicamente nel corso del mese di settembre.
Un paio di anni fa la Commissione federale di coordinamento per le questioni familiari aveva proposto un congedo parentale minimo di 38 settimane. Perché non è solo positivo per i figli e i genitori, ma accresce anche il numero di lavoratori qualificati, le entrate fiscali e il benessere sociale. Ed è in questa direzione che occorre andare. Ricordiamoci che la metà dei Paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) prevede un congedo maternità o parentale di almeno 43 settimane.
Istituire un congedo paternità di due settimane è davvero il minimo. Votare sì il prossimo 27 settembre è dunque un passo minimo necessario per colmare un’evidente lacuna nel nostro sistema sociale. È un passo necessario per permettere agli uomini di vivere la propria genitorialità e per avviare una politica familiare attenta alle pari opportunità e alla conciliazione tra famiglia e lavoro. Una migliore conciliazione tra famiglia e lavoro rappresenta persino un fattore di crescita economica e di accresciuta capacità concorrenziale, ampiamente dimostrato da studi e dalle aziende che hanno introdotto misure in tal senso.
Françoise Gehring, giornalista e sindacalista